11.3.14

Delle virtù del formaggio...

Alzi la mano chi ha già sentito parlare di Tullia d'Aragona.
Vi sembra di ricordarla nei libri di scuola? Con quel nome così importante... Una principessa spagnola? Una regina?
No, siete fuori strada.
Tullia d'Aragona, italianissima, era una cortigiana, tra le più celebri dell'epoca rinascimentale.
Una cortigiana "onesta", donna di grande cultura (poetessa, filosofa), che viveva anche della propria sessualità, ed era vicina agli uomini che contavano. Il suo intelletto era così fine da far passare in secondo piano il fatto che esteticamente non corrispondesse ai canoni dell'epoca. Una fuoriclasse, appartenente a una categoria di donne di cui è difficile trovare un corrispondente al giorno d'oggi.
Famosa e celebrata (tanto da essere diventata, nel tempo, l'emblema di questo modello femminile) era la veneziana Veronica Franco, che non si limitava a vendere le proprie grazie a chi se lo poteva permettere: poetessa e saggista, oltre a vantare tra i propri amanti alcuni nobili concittadini, intratteneva relazioni - non solo fisiche - con i maggiori intellettuali della città, e trascorse una notte addirittura con il futuro re di Francia Enrico III, in visita a Venezia nel 1574 (al quale in seguito ella dedicò alcuni bellissimi versi); una donna eccezionale, capace di sfidare a duello chi l'aveva calunniata (il nobile Maffio Venier) e di difendersi da sola dall'accusa di stregoneria davanti al tribunale dell'Inquisizione.
Anche la sublime poetessa Gaspara Stampa (padovana di nascita ma cresciuta e vissuta a Venezia), pur non essendo una vera e propria cortigiana (non si ha notizia che facesse commercio del proprio corpo), intratteneva relazioni decisamente libere con nobili e intellettuali (la si potrebbe definire un'antesignana del libero amore). Molto bella, coltissima, fine musicista oltre che donna di lettere, fu capace di scrivere versi dal sottile contenuto erotico ma anche di amare in maniera struggente un uomo, il nobile trevigiano Collaltino di Collalto, che certo non la meritava (oggi lo definiremmo senza mezzi termini "un bastardo") dedicandogli buona parte della propria produzione poetica.
La lista potrebbe continuare.
Per queste donne, la libertà di costumi andava di pari passo con quella intellettuale.
Spesso provenivano da famiglie non particolarmente abbienti che le incoraggiavano a studiare - ambito da cui erano invece escluse le giovinette di nobile appartenenza, il cui destino era diventare mogli obbedienti o monache. 
Certo, la libertà delle cortigiane rinascimentali non era totale, affatto; e dipendeva comunque dagli uomini, in primo luogo nobili. Avevano bisogno di protettori potenti per poter vivere da donne libere, senza incappare nelle maglie della giustizia, esercitata a sua volta da altri maschi.
Chiesa e governi cittadini tolleravano, quando addirittura non incoraggiavano (anche se non pubblicamente; e non è una mia ipotesi: negli archivi si trova materiale a sufficienza), la prostituzione, ma quella a basso costo, esercitata per necessità, nei lupanari (il meretricio era considerato un ottimo mezzo di contenimento delle pulsioni maschili, quindi lo si riteneva un valido alleato nel garantire l'osservanza del nono comandamento, e soprattutto nella secolare lotta contro l'omosessualità); ma non vedevano di buon grado queste donne libere anche mentalmente, istruite, ribelli alle convenzioni, ricche (grazie ai facoltosi amanti)... quindi pericolose.
Questo almeno in via ufficiale, dato che la corte papale pullulava di cortigiane; e in città come Venezia, la cortigianeria era anche un ingranaggio nella macchina della politica.
Queste figure femminili mi hanno sempre affascinata.
E spesso mi sono chiesta che ruolo rivestisse il cibo, nel gioco di seduzione a tutto tondo in cui eccellevano.
In che cosa si sarà distinta la loro tavola?
Tornando a Tullia d'Aragona (figlia d'arte, e probabile illegittima del cardinale Luigi d'Aragona, a sua volta esponente di una illustre stirpe di illegittimi, anche se di sangue reale): di lei fu molto innamorato Ercole Bentivoglio, letterato di nobili natali (ma anche in questo caso, guarda un po', di ramo illegittimo), che passò la propria vita muovendosi tra due città culturalmente fervide e aperte come Venezia e Ferrara.
Sono i suoi versi ad aver ispirato la ricetta di questo post.
Il poeta dedica un poemetto a un cibo che al tempo godeva di alterni favori: il formaggio. Ingrediente indispensabile nell'allestimento di tanti piatti (nei suoi "Banchetti", uno dei primi ricettari dati alle stampe, Cristoforo da Messisbugo, elencando l'occorrente per allestire la tavola dei principi, riserva una voce ai latticini, che includono "formaggio duro, grasso, tomino, pecorino, sardesco. Marzolini, provature e ravogliuoli"), compariva regolarmente sulle mense dei signori, ma era anche considerato alimento "vile", grossolano, adatto a persone con uno stile di vita energeticamente dispendioso (lavoratori in genere).
Bentivoglio gli rende piena giustizia, sottolineandone anche le virtù afrodisiache... perché non immaginare, allora, una presenza importante dei caci sulle tavole delle belle cortigiane?

Formaggio, è 'l primo nutrimento umano
Sprezzato sol da gente cieca e grossa,
Che dice che gli è pasto da villano,
Perché la forza ne mantien ne l'ossa;
E non cred'io, che l'uom senza mangiarne
Compiutamente esser gagliardo possa.
Che più che tordi e che fagiani e starne
Giova il formaggio a far la buona schiena,
Più che vitel e bue, più ch'altra carne.
L'amante tutta notte si dimena
Senza posar mai con la sua amica,
S'egli un buon pezzo n'ha mangiato a cena.


Ho parlato (inevitabilmente, ancora una volta) di Venezia: ecco quindi una versione ricca (dolce/salata, e ben speziata, come voleva il gusto rinascimentale) di una ricetta tradizionale veneziana, la torta nicolòta. Con tanto, tanto formaggio!

TORTA NICOLOTA AL FORMAGGIO

200 gr di pane raffermo, tagliato a pezzetti
500 ml di latte
150 gr di formaggi stagionati o comunque molto saporiti, misti, grattugiati
2 uova
1 cucchiaio di zucchero
1/2 cucchiaino di cannella in polvere
le teste sbriciolate di 6-7 chiodi di garofano
una generosa grattugiata di noce moscata
una macinata di pepe nero
1 cucchiaino di cremor tartaro

In una ciotola mettere in ammollo il pane nel latte. Quando sarà ben imbevuto, ridurlo in poltiglia. Aggiungere gli altri ingredienti e mescolare bene.
Ungere uno stampo da 24/26 cm, o foderarlo di carta da forno, e versarvi il composto.
Cuocere nel forno portato a 180°, per circa un'ora.
Si mangia fredda, possibilmente dopo averla fatta riposare per qualche ora.